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Romano Baratta
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Intervista a Massimo Bartolini PDF Stampa E-mail

25 aprile 1936, 2008 - Ponteggio in tubi innocenti, morsetti zincati, 250 luci - 1200 x 2200 x 105 cm - Courtesy Galleria Massimo De Carlo, MilanoMassimo Bartolini (Cecina, 1962) è un artista che definisce e reinterpreta gli spazi, dà loro nuova forma e nuovi significati, creando ambienti inusuali, intrisi di una intensa, suggestiva atmosfera. Le sue opere sono caratterizzate da una costante oscillazione tra percezione e impercettibilità. Elementi dinamici inducono lo spettatore a una riflessione stilistica, mentre lo proiettano su un piano quasi metafisico. Attraverso l'utilizzo di più tecniche, dall'installazione al video alla fotografia, Bartolini interviene sull'interpretazione dello spazio, plasmato a indurre un coinvolgimento attivo nel visitatore. La luce assume un ruolo fondamentale in molti suoi progetti: è nel pavimento abbagliante di una capanna di bamboo (Biennale di Venezia, 1999), nel soffitto di una stanza, originando un'atmosfera eterea (Rotonda della Besana, Milano, 2000) e diventa tangibile nelle porte luminose, presentate per la prima volta alla Casa del Masaccio (1998), dove le soglie da oltrepassare appaiono incandescenti. Bartolini ha partecipato a numerose esposizioni italiane ed internazionali, tra cui Manifesta 4 (Francoforte, 2002) e la Biennale di Venezia del 1999. Tra le mostre personali più recenti quella al Museu Serralves, Porto, 2007; alla GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea, Torino, 2005; Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci, Prato, 2003; allo Städtisches Museum Abteiberg, Mönchengladbach, Germania, 2003. Inoltre, tra le collettive: Arte italiana fra tradizione e rivoluzione, 1968-2008, Palazzo Grassi, Venezia, 2008; Où? Scenes du Sud: Espagne, Italie, Portugal, Carrè d’Art – Musée d’Art Contemporain de Nimes, Nimes, Francia, 2007; Ironia Domestica. Uno sguardo curioso tra collezioni private italiane, Museion - Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, Bolzano, 2007; Ecstasy: In and About Altered States, The Museum of Contemporary Art, Los Angeles, USA, 2005.

Romano Baratta: Utilizza spesso la luce come medium per le sue installazioni. Cosa la spinge a realizzare questi interventi ambientali?

Massimo Bartolini: Dalle mie parti per “luce” si intende anche la corrente elettrica quindi io utilizzo sempre la luce. La luce è un mezzo perfetto per visualizzare astrazione, per far accadere un sentimento, come diceva Goethe: avere il sentimento del ricordare senza che questo ricordare sia legato ad un luogo o ad una persona. 

Cosa le interessa della luce? Cos’è per lei la luce? 

La forma è ciò che determina la materia e la luce è ciò che dimensiona la materia in quanto si estende per sua natura verso le 3 dimensioni, questo è un riassunto da Roberto Grossatesta che, nel suo libro “Metafisica della luce”, in un passo molto suggestivo dice: “ La luce (…) si diffondeva traendo con se la materia in una quantità grande quanto la struttura dell’ universo.”La luce è come un incendiarsi dell’aria,  è un altro spazio la luce accende l’ombra il mistero e l’indicibile: ciò che è proprio dell’arte.

Dal punto di vista tecnico si affida a degli esperti o ha una preparazione specifica sulla luce? 

L’uso che faccio della luce è piuttosto semplice e uso lampade poco sofisticate, tubi fluorescenti ad accensione elettronica e lampade a ioduri… per la gestione elettronica degli impianti invece mi rivolgo a degli esperti che realizzano per me dei congegni di attuazione. 

Nel 2000 realizzò "A Cup of Tea", un intervento alla Rotonda della Besana a Milano per la mostra “Stanze e segreti”, dove si veniva rapiti da una soffitta avvolta totalmente da un biancore etereo. Cosa voleva comunicare? Come ha reso possibile tale indefinitezza spaziale?

Lì le luci erano miste, tubi fluorescenti e ioduri metallici, schermate con un cielo di pvc senza cuciture, e una garza a diffondere. Il titolo suggerisce un percorso inverso a ciò che fisicamente si fa salendo la scaletta interna del lavoro cioè dal basso verso l’alto: dall’ alto verso il basso, come la posata del tè. 

A Cup of Tea, 2000 - Letto, tecnigrafo, stufa, sedie, tappeto, libreria, scala, cartongesso, piastrelle in gres, legno, neon, telo in PVC, cassetta, impianto audio - 410 x 410 x 580 cm - Courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milano

Ci parli dell’installazione sulla facciata del Maxxi di Roma e degli altri lavori con la luce. 

Era una campitura di 250 luci “Chiaro” di Zumtobel per un’estensione di 3 x 23 m disposta su un ponteggio, una frase appare attraverso la caduta di 100 lampade e rivela una scritta: “Anche oggi niente”. Il lavoro è posizionato tra il grande cantiere del nuovo museo e una chiesa. Entrambe icone dell’amministrazione di distanze: l’una verso il dio, l’altra verso il cantiere del nuovo museo, icona del costruire. In questo contesto la frase di Pavese tratta da “Il mestiere di vivere” echeggia l’altro grande libro che ha scambiato la speranza con la coerenza, l’infinito imparziale con il dimensionato parziale: l’ecclesiaste. Tecnicamente la parte più difficile è stata la realizzazione del sistema di sgancio che doveva essere economico ed efficace e far cadere solo certe lampade ad un tempo stabilito. Altri lavori per i quali ho usato la luce sono ad esempio delle porte con una luce al loro interno che si vede o come una linea sullo spessore della porta stessa o sul vetro di fronte. La porta non da su una stanza illuminata ma è essa stessa illuminata.  Il Mio terzo Omaggio (la porta del fieno), 2007 - Porta in legno, neon, profumo di fieno - 305 x 140 x 8 cm - Courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milano

Lei plasma lo spazio affinchè lo spettatore possa esserne coinvolto. Fino a dove vuole spingere tale coinvolgimento? 

Fino al punto in cui uno possa fare un’esperienza e percepire un pensiero che è suo. 

Quanto è importante l’immaginazione nella percezione dei suoi lavori? 

Fondamentale, ma non solo quella della testa, anche quella che appartiene al corpo. 

Solo alcuni artisti utilizzano la pura luce come “materiale” delle loro opere. La maggior parte utilizzano l’oggetto lampada (tubi fluorescenti, neon, fibre, ecc). Cosa la spinge a manifestare la luce stessa come essenza del lavoro? 

In periodi in cui la tecnologia era un fine forse piaceva mostrare gli apparati, gli strumenti, l’entusiasmo del nuovo giocattolo, l’entusiasmo per la produzione. Per me lampade, cavi e comandi vari sono mezzi che servono a una narrazione, servono un corpo che è un opera, e se l’opera è un corpo allora gli organi sono racchiusi da una pelle a meno che non serva che il cuore sia scoperto. 

Siamo curiosi di sapere quale delle varie fonti luminose preferisce e perché? 

Di solito uso le lampade a ioduri perchè esaltano i bianchi e ben posizionate tolgono ombre e sospendono i corpi. 

Ci faccia il nome di un artista della luce o di un lighting designer che ammira.

Olafur Eliasson e Mario Airò.

Il prossimo progetto artistico con la luce? 

Nessun progetto in vista con la luce, nel senso di luce che illumina. 

Faccia un saluto ai lettori di Lighting Now!

Ciao a tutti e quando uscite di casa ricordatevi di spengere la luce, anche il led rosso della televisione.

 

 Desert Dance, 2003 - Legno, plexiglas, impianto luci, terra rossa, libri - Dimensioni ambientali - Courtesy Galleria Massimo De Carlo, Milano

 

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