domenica 22 dicembre 2024
Macrolibrarsi.it presenta il LIBRO: Le Virtù Terapeutiche dei Frullati Verdi
News
Romano Baratta
Newsletter






iscriviti alla newsletter
Intervista ad Alessandro Trabucco PDF Stampa E-mail

Alessandro TrabuccoAlessandro Trabucco è tra i principali studiosi italiani di light art. Critico d'arte e curatore indipendente è nato a Roma ma vive e lavora a Milano da molti anni. Ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Brera dove si è laureato con una tesi su Piero Fogliati, light artista. Ha al suo attivo la curatela di molte mostre in spazi pubblici e privati e i testi critici sulle opere di vari artisti. Scrive per la rivista d'arte Segno.

 

 

Buongiorno Alessandro, perché studia in particolare la luce, come medium artistico?

L’interesse per la luce come medium espressivo e’ nato molti anni fa, verso la metà degli anni ’90. A quell’epoca ero iscritto a Brera, al corso di pittura, ma sentivo l’esigenza di ridurre al minimo i mezzi che utilizzavo tanto da usare solo la tela bianca e il telaio, in una sorta di neoconcettualismo di derivazione sia spazialista (con ritagli di pezzi di tela che lasciassero in vista il telaio quale segno-strutturale) sia più specificatamente concettuale, con evidenti riferimenti all’opera di Giulio Paolini.

Quel breve periodo mi fece radicalizzare ancora di più le mie scelte facendomi spostare l’attenzione alla pura immaterialità, alla sparizione del mezzo fisico e all’utilizzo della luce pura. Iniziai a fotografare i raggi solari che entravano dalle fessure della finestra della mia casa e provai a “dipingere” la tela con questi fasci luminosi. Ma non era sufficiente, l’immaterialità non era realmente ottenuta, alla fine l’opera era la fotografia di un intervento effimero, una semplice documentazione. La svolta l’ebbi durante una tre giorni dedicata all’arte/scienza in Accademia nel maggio del 1996. Lì conobbi Piero Fogliati e vidi per la prima volta il suo grande capolavoro l’Edicola delle Apparizioni, opera nata in anni e anni di severi studi e presentata alla Biennale di Venezia del 1986. Con questo lavoro Fogliati ottiene un esito totalmente immateriale, di pura luce. Era la realizzazione del mio sogno, un’emozionante esperienza mai provata prima.

Piero Fogliati - Edicola delle apparizioni

 

Molti artisti e soprattutto coloro che utilizzano la luce, vogliono raggiungere questa immaterialità... Magari una frontiera nell'arte ancora da esplorare come specchio di alcuni gruppi scientifici alle prese con i viaggi nel cosmo e col teletrasporto?

L’antimateria... Una vera e propria sfida, quella che ogni vero artista si appresta ad affrontare quando decide di creare un’opera d’arte. Purtroppo oggi l’arte contemporanea offre, nella maggior parte dei casi, misere proposte legate a rifacimenti di territori già abbondantemente esplorati e conosciuti; la ricerca, la sperimentazione, accusano battute d’arresto preoccupanti, anche per la negligenza di certa critica d’arte che non ha voglia di sforzarsi a trovare nuove possibilità espressive. La scienza fa progressi, l’arte mi sembra un po' arenata...

 

Credo che in giro di ricerca ce ne sia... ci sono validi artisti, ma il problema è proporli. Galleristi e direttori di musei che pensano soltanto al profitto, male si legano alla sperimentazione... ed ecco i risultati.

E’ esattamente quello che e’ accaduto negli anni passati a Fogliati, conosciuto bene nell’ambiente ma volutamente ignorato perché il suo lavoro, sperimentale ed innovativo per l’epoca, non era bene compreso. Solo alcuni critici illuminati, tra cui Filiberto Menna e, in parte, Mirella Bandini, lo hanno seguito e sostenuto in quegli anni con coraggio (parlo della fine degli anni sessanta inizio settanta), senza per altro avere la forza necessaria di proporlo in modo determinante. Paradossale notare come poi Fogliati si sia ritrovato in poco tempo ad essere artista di vera avanguardia (per l’utilizzo di mezzi e tecnologie nuove) per poi accusare rapidamente un ritardo sulle nuove tecnologie elettroniche e digitali. Le sue opere utilizzano tutt’ora la tecnologia meccanica di quegli anni.

 

La luce, in generale, perché è importante per gli artisti?

Devo rispondere per loro? Me lo sono chiesto più volte e forse la risposta sta proprio nel forte desiderio, che anch’io avevo, di realizzare forme di pura luce, allontanandomi completamente dalla concretezza degli strumenti tradizionali. Potrei dare anche una spiegazione simil-filosofica ed ascetica più che scientifica, che so, un distacco dal materiale per ascendere allo spirituale...

 

Quasi un voler ambire a quella luce religiosa di manifestazioni divine e di purezza...

Può essere, anche se in fin dei conti alcuni artisti riconoscono questa dimensione pur non dichiarandola, mantenendo ferme le qualità della loro ricerca su di un piano scientifico. Semmai è l’interpretazione che può dare un critico a puntare sul metafisico e il sovrannaturale, legando queste ricerche al neoplatonismo e ad altre visioni ultraterrene.

 

Si è vero, il tecnicismo imperante ha spostato la ricerca sul fronte tecnologico facendo abbandonare quello filosofico. Eppure, avremmo bisogno di più filosofia...

Forse sta proprio alla critica, dato il background culturale che dovrebbe avere, individuare questo aspetto. Non nego comunque che personalmente, nella mia ricerca approfondita sull’opera di alcuni light artisti, mi faccia intrigare piu’ dall’aspetto tecnico che da quello filosofico. Dipende dal tipo di lavoro e dal risultato. Faccio due esempi: il lavoro di Renato Jaime Morganti è più tecnico e legato agli aspetti spaziali ed architettonici degli ambienti in cui opera; quello di Nino Alfieri è, all’opposto, incentrato sull’alchimia della luce e sulle simbologie arcaiche di certe forme e certi segni recuperati da culture passate e lontane nel tempo. Va bene che la critica debba interpretare un lavoro, ma deve comunque mantenere un equilibrio tra le caratteristiche, anche tecniche, predominanti in una ricerca e la sua qualità espressiva ed estetica.

Renato Jaime Morganti

Gli artisti che utilizzano la luce come mezzo di rappresentazione, sono stati, apparentemente, sempre valutati meno o presi poco sul serio. Perché?

Per diversi motivi. Innanzitutto per difficoltà oggettive di mercato, di vendita del prodotto. Un quadro, una scultura, una fotografia sono più abbordabili e comprensibili, li acquisti per abbellire il salotto. Un’installazione di luce pone problematiche maggiori, anche dal punto di vista interpretativo. Un altro fattore è rappresentato dall’incolmabile ritardo che certa critica militante ha accusato nei confronti della light art. Se pensiamo che il gruppo californiano Light and Space nacque alla fine degli anni Sessanta in pieno delirio Pop, capiamo perché ha fatto fatica ad imporsi dal punto di vista teorico e critico.

Ultimo, ma non per questo di minore importanza, il fattore installativo e di manutenzione.

L’opera di light art ha bisogno di accorgimenti tecnici che vanno al di là del semplice allestimento dell’opera in sé, richiedendo specifiche competenze che non tutti i luoghi espositivi (pubblici e privati) hanno.

 

Tra gli artisti che utilizzano la luce chi preferisce o segue con particolare attenzione?

Tra i grandi maestri sicuramente James Turrell, poi il nostro Piero Fogliati che non ho dubbi a considerare un vero genio. Qualcosa anche dei gruppi italiani dell’arte optical e cinetica, gruppo Enne e T, tra cui alcuni lavori di Grazia Varisco. Tra i “giovani” mi emozionano molto le opere di Olafur Eliasson, che deve molto a Fogliati e all’esperienza di Light and Space...

Tra i giovani italiani, che ho potuto anche seguire ed invitare ad alcune mie mostre, direi senza dubbio Renato Jaime Morganti, Romano Baratta, Tonylight, Carlo Bernardini.

Una menzione a parte va a Nino Alfieri, vero outsider della ricerca sulla light art.

Tonylight

L'attuale scena della light art in Italia potrà ritagliarsi uno spazio maggiore e portare i nostri esponenti a essere considerati anche a livello internazionale?

E’ il problema del secolo. Comunque ogni artista italiano che fa successo all’estero, come ben sai, e’ supportato da grandi poteri ed enormi possibilità economiche. Le potenzialità creative ci sono tutte, può darsi che manchino quelle economiche. L’unico che per ora si sta ritagliando una piccola fetta all’estero mi pare Carlo Bernardini.

 

Poco fa ha citato Olafur Eliasson, artista danese, che ha dato alla light art una nuova possibilità: essere valutata con più attenzione. Cosa la colpisce del suo lavoro e quali dei suoi interventi ricorda in modo particolare?

Del suo lavoro mi colpisce soprattutto la freschezza, la straordinaria intuizione nel realizzare sempre opere nuove e di grande qualità. Indirettamente mi ha colpito molto la grande installazione The weather project alla Tate Modern, direttamente Your black horizon all’isola di San Lazzaro degli Armeni durante la Biennale di Venezia del 2005.

Olafur Eliasson - Your black horizon

L'installazione alla Tate Modern è stata davvero un evento unico nel suo genere: un grande sole, composto da lampade al sodio a bassa pressione, che invadeva l'ambiente con una frequenza luminosa di una intensa colorazione gialla (per chi volesse approfondire rimandiamo all'articolo). Speriamo che presto si possa assistere, magari da parte di artisti italiani, nuovamente ad installazioni di questa caratura.

Manca l’appoggio economico, la creatività c’e’.

 

Lei è il massimo esperto dell'opera di Piero Fogliati, maestro sempre poco considerato in Italia...

Purtroppo Piero ha pagato caro due aspetti fondamentali che hanno offuscato pericolosamente la sua produzione: l’essere attivo a Torino e proprio negli anni dell’esplosione dell’Arte Povera che ha monopolizzato tutto, critica, mercato, mostre...

Fogliati è stato tra i primi ad utilizzare mezzi tecnico-scientifici, insieme agli artisti cinetici, ma la sua produzione si è subito allontanata da quelle realizzazioni, cercando di ottenere due principali obiettivi: la non ripetizione e l’immaterialità dell’esito. Ci è riuscito con tre lavori fondamentali, il Campo Autonomo, l’Aura Cromatica (entrambi del 1970) e la citata Edicola delle Apparizioni del 1985.

 

Qual è l'opera di luce che l'ha rapita e del quale ha un forte ricordo? Quali le sensazioni provate?

Di nuovo dico l’Edicola delle Apparizioni di Piero Fogliati, la prima opera di light art che abbia mai visto piu’ di dieci anni fa. Vedere realizzato il sogno di un esito completamente immateriale ha suscitato sensazioni indescrivibili, direi inenarrabili. Bisogna vederla...

 

Speriamo di poter avere l'occasione di vedere queste opere...

Quando vuoi andiamo a trovarlo. Purtroppo pero’ le sue opere non sono sempre visibili, per il solito motivo dato dalle difficoltà installative e conservative. Bisogna approfittare quando si realizzano sue mostre personali, la piu’ completa e’ stata fatta tra il 2003/2004 a Torino. Lì si aveva l’occasione di vedere quasi tutta la sua opera: installazioni di luce, suono e movimento.

 

Cosa vorrebbe provare mentre è immerso in un ambiente o installazione di luce?

In effetti è quello che provo immergendomi negli ambienti di Turrell, di Fogliati o in alcuni di Flavin, anche se quest’ultimo un po’ “tradisce” la mia idea di light art, utilizzando i tubi fluorescenti che diventano segno tangibile, materia, oggetto. Una sensazione di completo abbandono alle atmosfere rarefatte di questi ambienti luminosi che creano una realtà inedita, impossibile da fruire in altro modo. E poi la purezza della luce si propaga e si infonde direttamente nella mente ma soprattutto nel cuore di chi l’osserva...

 

Molti artisti che utilizzano la luce, non sono dei veri tecnici della materia, ma sfruttano il mezzo come elemento d'espressione. Cosa ne pensa a riguardo?

Il mio maestro rimane Fogliati, profondo conoscitore della materia dal punto di vista scientifico, estetico e pratico, avendo egli studiato in modo approfondito sia l’ottica sia la tecnologia per realizzare da solo, senza l’aiuto di alcun tecnico, tutte le sue opere.

Un altro è Turrell, che ha studiato la teoria e la psicologia della percezione. Sono i miei riferimenti, quindi puoi immaginare come la penso al riguardo...

 

C'è una moda diffusa che porta molti artisti a fare l'opera di luce, peccato però che quasi tutti non fanno altro che modellare (far modellare) i tubi neon a formare scritte, loghi o altro. Non usano la luce ma semplicemente una lampada.

Sono lavori che non sopporto. Avevano un senso negli anni settanta, nel “periodo duro” del concettualismo, con le opere di Kosuth o con le scritte di Merz. Oggi mi sembrano le scritte nei bar, tipo “panini alla piastra”...

Joseph Kosuth - One and eight - a description

Quando organizza una mostra e chiama dei light artisti cosa chiede loro? Ha esigenze particolari?

Semplicemente di osservare lo spazio a loro disposizione e di interagire nel modo che a loro sembra più efficace. Non do delle direttive particolari, mi fido del loro talento.

 

Nel sistema dell'arte si assiste ad una grande ignoranza rispetto alle opere di luce. Basta che un artista utilizza la luce e subito viene accostato a Dan Flavin o James Turrell, anche se il loro intento o le modalità sono differenti. Questa ignoranza di base può essere positiva per i nuovi light artisti o come appare, controproducente?

Vale la risposta circa la “deficienza” effettiva di certa critica d’arte, quindi è controproducente.

 

Spesso vengono organizzate mostre dove si utilizza il termine luce per esporre opere non di luce ma di video, come capitato recentemente con Ludovico Pratesi a Roma con vari videoartisti italiani... perché secondo lei si abusa di questo termine in modo improprio?

Per congenita ignoranza, dico nel sistema dell’arte e non nei singoli curatori, intendiamoci...

Olafur Eliasson - Beauty

Sicuramente, ma farsi fuorviare solo perché i monitor o i video proiettori emettono luce sembra esagerato...

Anche il termine fotografia significa “scrittura con la luce”, è metaforico, così come per i monitor la presenza della luce è una questione tecnica...

 

Personalmente credo che si possa fare e dire ancora molto mediante la luce in arte, in quanto elemento preminente della nostra esistenza. Poi fino ad ora si è fatto poco. Però ha una grossa differenza rispetto, ad esempio, alla pittura: quest'ultima è bidimensionale ma soprattutto immagine e quindi magia dalla quale tutto può fuoriuscire e dalla quale rimanere stupefatti. La luce è reale e vive nella nostra dimensione, quindi non magia bidimensionale; è vincolata alle leggi della realtà. Lei pensa che creare delle magie nella nostra dimensione con la luce possa coinvolgere e far fantasticare lo stesso gli uomini?

Assolutamente si’, Fogliati usa il termine “mistero”.

 

Ha mai pensato ad una mostra totalmente sulla luce?

Si’, molte volte e mi si sono presentati i problemi che ho descritto in precedenza, riguardo i deficit che si hanno nell’organizzazione di una mostra cosi’ impegnativa.

 

Faccia un saluto ai lettori di Lighting Now!

Più che un saluto un augurio, che possano apprezzare sempre di più opere di light art, perché promosse ed installate in modo adeguato e competente.

 

Aggiungi commento


Codice di sicurezza
Aggiorna

< Prec.   Pros. >

 

Ultimi Commenti
2 a destra
terzo sinistra

cookies policy - informativa estesa